Design Thinking come Mindset

by Dr. Gaja Amigoni – Nudge&Leap

Il Design Thinking è un modello di innovazione basato sul pensiero progettuale che negli ultimi tempi sta riscuotendo molto successo. In realtà, sarebbe più corretto definirlo un “processo” per evidenziarne la progressiva evoluzione nelle 6 fasi (comprensione – osservazione – punto di vista – ideazione – prototipazione – verifica) che lo caratterizzano. Qualcuno potrebbe banalmente pensare che, una volta acquisiti i diversi passaggi sia sufficiente riproporli nella giusta sequenza per ottenere senza troppa fatica un risultato soddisfacente. In realtà, il pensiero progettuale non funziona in modo lineare e perché si produca innovazione è necessario innanzitutto cambiare forma mentis. Albert Einstein, a questo proposito, sosteneva che non si può pensare di risolvere un problema con la stessa mentalità che lo ha generato e, in modo analogo, non si può ingenuamente credere che si possa fare innovazione ragionando in modo obsoleto.

Per pensare in modo innovativo bisogna staccarsi dagli stereotipi!

Consideriamo che nel processo abbiamo un problema e due attori: il cliente che desidera trovare una o più soluzioni al problema e un esperto di design thinking.
La presenza di due soggetti non può prescindere da una attenzione particolare alla relazione. Il primo compito del design thinker è di adottare un approccio empatico, così da riuscire a vedere la situazione, la difficoltà, con gli occhi dell’altro, provare cosa sente, comprendere come pensa, senza tuttavia perdere il proprio focus. Come? Soprattutto attraverso l’ascolto attivo, interviste, indagini qualitative, sessioni di co-design, ecc.

Durante questa fase, l’esperto cerca inoltre di entrare nel vivo del problema: pone domande, osserva attentamente i dettagli, cerca di cogliere i meccanismi di funzionamento e le variabili di contesto, evitando di assumere un atteggiamento giudicante e pregiudizievole. Pensate a un bambino desideroso di conoscere fino in fondo come funziona un oggetto: lo osserva, lo maneggia, lo smonta, pone domande a riguardo.

Questa attenzione agli aspetti particolari del problema, che vengono, per così dire, posti sotto una lente di ingrandimento, non impedisce all’esperto di condurre un attento esame del contesto d’insieme: se il cliente vede il problema dall’interno, il design thinker adotta una prospettiva di osservazione più ampia, ponendosi all’esterno e al di sopra del problema (si parla, badate bene, di punto di osservazione e non di giudizio!) per cogliere il sistema di valori e di priorità che regola le scelte del cliente e non sovvertirlo, con il rischio di creare nuovi problemi.

Questo continuo cambio di prospettiva e di dimensioni pone il design thinker nell’ottica di vedere in modo diverso la realtà e, adottando una sorta di ars maieutica (Socrate docet!), aiutare il cliente a mettersi in gioco al fine di trovare, o meglio, sviluppare, nuove idee e il modo di renderle reali in contesti aziendali, sociali, familiari, e altri ancora.

L’approccio pratico-esperienziale e il lavoro in membership rendono il design thinking un processo fresco e vincente nella soluzione durevole di problemi e nel generare nuove opportunità di sviluppo, dove la difficoltà non è vista come un limite, ma una occasione di cambiamento e di crescita.